Giornata della memoria tra vecchio e nuovo antisemitismo, all’ombra degli echi di guerra tra Israele e Gaza. Di Gianni Rossi
Il Giorno della Memoria, il 27 gennaio, si celebra sotto tinte fosche, in un quadro internazionale segnato dagli echi della guerra condotta da Israele contro i centri abitati della Striscia di Gaza. Distruzioni generalizzate,anche di edifici dell’ONU, oltre 1.600 morti, in gran parte civili, dei quali più di 300 tra i bambini. Un’opinione pubblica mondiale scossa, proteste in Occidente in maggioranza organizzate da palestinesi e arabi, culminate con l’incendio delle bandiere israeliane (spesso raffigurate con le svastiche), slogan antisemiti, richieste di boicottaggi commerciali e preghiere anche davanti alle chiese.. Ma è anche una celebrazione che cade a 70 anni dalla famigerata “Notte dei cristalli” (9/10 novembre 1938), quando si scatenò la rabbiosa e violenta offensiva antisemita della dittatura nazista contro sinagoghe, negozi e case degli ebrei in Germania e in Austria, dando inizio alle prime deportazioni nei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald. Allora come oggi, alcune potenze europee, insensibili alle denunce dei soprusi contro gli ebrei, anziché difendere le loro ragioni, cercarono di trovare un’intesa con “il diavolo nazifascista” (con l’accordo di Monaco del 28 settembre di quell’anno), pur di contrastare il “pericolo bolscevico”, che avrebbe messo a repentaglio l’esistenza del sistema capitalistico. Insomma, meglio chiudere gli occhi su leggi razziali, violenze e morti delle popolazioni ebraiche, che facevano parte integrante da secoli delle società europee, promuovendone la cultura, l’arte, la filosofia, le scienze e l’economia. Oggi, come allora, si cerca di chiudere gli occhi sull’isolamento e l’accerchiamento del popolo israeliano da parte di tutti gli stati arabi confinanti, sul crescente antisemitismo, camuffato da antisionismo politico, cercando di portare sulla strada del dialogo quegli stati arabi, definiti moderati, ma che in realtà da anni foraggiano clandestinamente i movimenti integralistici come Hamas ed Hezbollah, o addirittura finanziano gruppi terroristici come Al Quaeda di Bin Laden. Comprendere le ragioni dei palestinesi attaccati dalle forze armate israeliane a Gaza, non significa pertanto dimenticare gli attacchi kamikaze dei fondamentalisti islamici sugli autobus e nei locali pubblici contro i civili ebrei né far finta che i razzi lanciati da Gaza verso i territori circostanti fossero come dei “fuochi d’artificio”. Né significa ignorare il bagno di sangue che Hamas ha fatto versare all’altra componente più laica del popolo palestinese uccidendo, torturando e imprigionando migliaia di appartenenti al gruppo politico di Al Fatah, che governa la Gisgiordania. Insomma, per comprendere quello che accade oggi nel martoriato Medioriente non si può prescindere dal ricordare cosa successe in Europa negli “Anni bui” tra il 1930 e il 1945. Non si può, inoltre, dedicare al dramma dell’Olocausto e della Shoah, dello sterminio di 6 milioni di ebrei europei, una sola giornata e poi “lavarsene le mani” per il resto dell’anno. Facendo così le nuove generazioni non comprenderanno appieno le ragioni storiche della stessa Unità europea, della crisi mediorientale, del contrasto tra culture e religioni sempre più evidente, dei fenomeni migratori con la crescente intolleranza verso gli “extracomunitari”, gli islamici e il rinascere con sempre maggiore forza di un antisemitismo camuffato sotto nuove sembianze più subdole, ma non meno pericolose. Ne abbiano parlato con due intellettuali “fuori dal coro”, come lo psicoanalista David Meghnagi e l’ex-direttore de L’Unità e senatore del PD, Furio Colombo.
David Meghnagi psicoanalista, storico direttore del Master post-universitario per la Didattica della Shoah, che riunisce docenti americani, tedeschi, italiani, francesi e israeliani, riservato a chi ha già una specializzazione, e che si tiene in collaborazione con altre università italiane ed estere: logisticamente ha sede nella Terza Università di Roma, a Piazza Esedra.
D. Intanto, qual è la differenza tra celebrare la giornata della Memoria e il ricordo della Shoah? R. “Il giorno della Shoah ricorda la rivolta del Ghetto di Varsavia e la sua distruzione. La prima rivolta nell’Europa occupata dai nazisti, una rivolta avvenuta nel silenzio del mondo e nel più totale isolamento. L’anno dopo ci fu l’insurrezione di Varsavia alla quale i superstiti ebrei del ghetto parteciparono. L’esercito sovietico alle porte della Polonia non intervenne a loro sostegno, per avere mano libera dopo la guerra: fu una tragedia nella tragedia. Per il Giorno della Memoria è stato scelto, invece, il 27 gennaio che ricorda la fine della schiavitù nei campi e suggella in pratica la fine della Seconda guerra mondiale e l’inizio di una nuova era per l’Europa occidentale, cui seguì purtroppo la sua divisione in due blocchi e la guerra fredda.”
D. Le manifestazioni a favore dei palestinesi accerchiati dalle truppe militari israeliane a Gaza hanno mostrato fenomeni di antisionismo e di antisemitismo nuovi. Come lo spiega? R. “Sono convinto che all’antisemitismo vecchio si è aggiunto uno nuovo. Il fenomeno ha avuto una lunga incubazione di almeno 40 anni ed ha avuto come sfondo il rifiuto dell’ebreo come nazione e come stato. Le vecchie demonologie antisemite del passato si sono trasferite su Israele. Si tratta di un processo dissociativo in cui l’ebreo è accettato e idealizzato come nazione morta, e di fatto rifiutato come nazione viva. Il problema è complicato dai cambiamenti che stanno avvenendo nella stessa Europa, per la presenza sempre più ampia di immigrati di terza generazione di origine araba e islamica che proiettano sul conflitto mediorientale il senso di alienazione e di non appartenenza con cui vivono il loro nuovo rapporto con i paesi in cui genitori e i nonni si sono stabiliti. Vi è il rischio del trasferimento del conflitto mediorientale nel cuore dell’Europa, con tutti i pericoli che comporta. Il pericolo più grande è che il sentimento di alienazione e di protesta contro il mondo occidentale, diffuso nelle periferie parigine e in settori dell’èlite di terza generazione dell’immigrazione, si saldi con una nuova ideologia antisemita. Su questo c’è un grave ritardo politico e culturale. Sui tratta di un cambiamento epocale in cui il vecchio antisemitismo di matrice europea si congiunge con quello islamista di natura politica e religiosa. Ho fatto una ricerca sulla stampa araba degli ultimi 40 anni ed ho raccolto mille vignette. Studiandole si ha la sensazione netta che è in atto un processo di demonizzazione e che la rappresentazione della realtà del conflitto non è più di natura politica, ma ha assunto progressivamente dei connotati demonologici, ovvero una demonizzazione del nemico che ricorda non pochi aspetti della simbologia antisemita degli anni Trenta.”.
R. non le sembra che l’attenzione degli europei verso i paesi arabi moderati sia come quella dei Francia e Gran Bretagna nel ‘38 verso Germania e Italia, cercando l’accordo con Hitler e Mussolini, per arginare il “pericolo bolscevico”, turandosi il naso, invece, rispetto alle violenze razziste antisemite? R. Ci sono delle analogie. La cosa più grave che si possa fare oggi è di chiudere gli occhi di fronte alla cultura dell’odio antiebraico solo perché è giustificata da argomentazioni di carattere “politico”. Il fatto che gran parte degli episodi di antisemitismo in Francia come in Gran Bretagna, hanno avuto origine all’interno delle comunità degli emigrati di origine islamica, non rende il fatto meno grave. Si tratta di un attacco al cuore della convivenza che potrebbe avere conseguenze devastanti per l’intera società.
D. Quale messaggio si sente di poter decifrare dal recente conflitto israelo-palestinese? R. “Il messaggio deve essere molto esplicito: il riconoscimento pieno di Israele di vivere in sicurezza e il riconoscimento dei diritti palestinesi nell’ambito di una soluzione politica del conflitto che deve avere come fondamento il rifiuto di ogni logica terroristica. O l’intera classe politica europea parla chiaro a se stessa, rifiutando ogni forma di ambiguità nei confronti di chi non ha rinunciato al terrorismo, oppure vi è il rischio che alla lunga il conflitto lo ritroveremo nel cuore dell’Europa. La tolleranza verso le frange che giustificano il terrorismo antisemita e antisraeliano, non ha impedito gli attentati di Londra. Sullo sfondo, c’è il pericolo rappresentato dal regime iraniano che utilizza attivamente Hamas ed Hezbollah come “pistole puntate” su Israele, per destabilizzarlo dall’interno e in prospettiva per destabilizzare l’intera regione.”.
D. Un suo giudizio sulla puntata di Anno Zero dedicato alla guerra in Gaza? R. “L’ho trovata vergognosa! Ma non mi sorprende più di tanto. Quella non è informazione, in quanto sostituisce le facili emozioni alla cognizione dolorosa di un processo che avuto tempi lunghi, che ha molte facce ed è di una complessità terribile. La trasmissione di Santoro assumeva a priori l’esistenza di un colpevole, ovvero Israele, e su questo ha costruito l’intera trasmissione.”.
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